I musei
Museo della Civiltà Solandra
Malè – Trentino
ARTI E MESTIERI DELLA VALLE DI SOLE
Il Museo della Civiltà Solandra, voluto e realizzato dall’associazione culturale “Centro Studi per la Val di Sole” raccoglie le testimonianze, ormai perdute, della vita che nei secoli scorsi scrisse con la sua civiltà montanara il piccolo popolo della Valle di Sole. Un Museo di Valle quindi, aperto al pubblico nel 1980, per conservare, ricostruire, tramandare i principali momenti della vita di questa Valle, i mezzi e i modi di sussistenza, di lavoro, di relazioni sociali, le forme di artigianato ed un’antologia – la più vasta possibile – degli attrezzi di uso giornaliero, ricostruendo anche, con la massima fedeltà e la più accurata ricchezza di particolari quello che era il suo regno e la sua difesa, la casa.
LA CASA
Nella casa della gente comune la stanza più importante era la cucina(còsina), dove si viveva il maggior numero di ore della giornata all’infuori di quelle dedicate al lavoro; si preparavano i pasti e si mangiava come si fa tutt’oggi, ma anche ci si scaldava nei lunghi inverni al calore del focolare. E nelle sere, col fuoco che moriva tra le braci, al chiarore d’una lampada ad olio, si faceva “filò”, cioè ci si intratteneva a parlare o a narrare qualche vecchia storia, seduti sulle panche sistemate intorno al focolare. La ricostruzione fatta nel Museo è molto accurata in ogni dettaglio. Vi troneggia il focolare “aperto”, cioè sormontato da un’ampia cappa dalla quale il fumo usciva all’esterno per un largo camino. In basso sporgeva dalla sua bocca una catena di ferro (segosta) - che col gioco dei suoi anelli si poteva allungare o accorciare a seconda dei bisogni – cui si appendevano i laveggi di bronzo per le minestre o il paiolo di rame per la polenta. Alari, treppiedi, graticole, servivano per mettere sul fuoco tegami e padelle. Nel Museo si possono osservare, ben distribuiti sulle pareti, gli altri mobili essenziali che arredavano la cucina: una credenza con in basso i ganci per appendervi i secchi dell’acqua (calcidrei), un tavolo, la madia con gli scomparti per conservarvi le farine: bianca, gialla, di segale e nera; la piattaia (scanzìa), sedie e panche. Alle pareti sono appesi oggetti di rame. Non mancano gli utensili di uso giornaliero: mestoli di legno, tostacaffè, macinapepe, taglieri, bilancini (bagiloni) per portare le secchie, tagliapane, vasi di terracotta (pitari), il tagliacrauti (fletarola), la brenta per il bucato.
La camera da letto(stua), oltre al necessario arredamento, conteneva tutte le cose care della famiglia; alle pareti i ritratti dei “vecchi” e di parenti defunti, ricordi. Quasi sempre aveva le pareti ricoperte di legno, era riscaldata da una grande stufa a olle costruita in Valle, ed illuminata da lumini ad olio, in un secondo tempo a petrolio o a candele. La ricostruzione nel Museo è della massima fedeltà. Il letto – con sovracoperta a ferri – è dell’800 a una piazza e mezza, a piedi alti per farvi scorrere sotto il lettino a carriola per i bambini. Lungo le pareti sono disposti: il cassettone per la biancheria, il lavamano, un vecchio canapè, il tavolo, il tombolo per i ricami, la culla, lo scaldaletto a brace, la macchina da cucire. Completano la stanza il crocifisso, le acquasantiere, il libro della messa sul comodino, immagini di santi: il sacrario insomma della famiglia.
ARTIGIANATO
Il calzolaio (el cagliàr)
Di rado l’economia familiare permetteva il lusso di un paio di scarpe nuove. L’opera del calzolaio consisteva quasi sempre nel confezionare scarpe da lavoro, nell’aggiustare le vecchie, nel rimettere o fare suole di legno, di pezza o di cuoio, nell’allargare tomaie, nel piantare chiodi rotondi o a zappa su suole e tacchi. Il Museo conserva un deschetto completo di tutti gli attrezzi, una macchina da cucire, forme di legno per scarpe e stivali, esempi di risolatura, di scarponi tradizionali, di oggetti allora comuni, ora scomparsi.
Il ramaio (el ciapèra)
Il rame era un metallo molto usato per gli utensili casalinghi (pentole, paioli, secchie, padelle, casseruole). Essendo numerosa l’emigrazione invernale in Lombardia e nel Veneto dei “paroloti”, gli artigiani abili nell’aggiustare e risistemare oggetti di rame, molto diffusa e intensa era l’opera del ramaio anche in La Sezione a lui dedicata raccoglie tutti i suoi attrezzi ed apre gli occhi sulla sua inventiva e capacità manuale.
Il fabbro (el feràr)
Il fabbro era forse l’artigiano più eteroforme, sempre impegnato a fabbricare gli oggetti più disparati per la casa, per il lavoro agricolo, per quello caseario e per la lavorazione del legno, abile anche nel costruire cardini per porte, ferri da mina, chiodi di tutte le grandezze, serrature, chiavistelli, calibri, compassi, ramponi. Spesso di trasformava in maniscalco per la ferratura degli animali.
Il falegname (el marangòn)
La lavorazione del legno era molto diffusa. Di legno era parte della casa e del rustico; di legno erano serramenti, pavimenti e mobili. Il falegname inoltre metteva in opera l’intelaiatura dei tetti e li copriva con scandole – assicelle di legno di larice non piallate -. All’artigiano artistico del legno si devono gran parte degli altari dorati delle chiese, le cassapanche scolpite, i soffitti e di pavimenti intarsiati.
ARTIGINATO MINORE
Altri artigiani confezionavano canestri d’ogni tipo, con il legno costruivano rastrelli, mastelli per vari usi, brente, scope, manici per vari attrezzi, impagliavano. Da non dimenticare i sellai, i tappezzieri ed i costruttori di ruote (rodari) e di funi di cuoio (fumadri).
SETTORI
Connesso con l’arte del fabbro è il settore dedicato alle lampade. Il Museo ne conserva una raccolta: lampade da miniera – ad olio con stoppino o a carburo - a quelle per la casa, per i carri e per le carrozze. Sono esposte nel Museo stadere e bilance varie, misure di peso e di capacità per cereali: lo staio (star), il quarto di staio, la minella, la mezza minella. I grani e le farine erano generi di prima necessità. Il Museo raccoglie svariati oggetti che mostrano come i grani si coltivavano, si mietevano, si trebbiavano, si battevano, si separavano dalla pula, si pulivano con il mulino a ventola, si macinavano. Qualche riferimento alla lavorazione del pane. Un pestino per pilare l’orzo.
FILATURA E TESSITURA
L’allevamento delle pecore era limitato alla produzione della lana occorrente per le necessità locali. Con il filo di lana venivano confezionate calze, calzettoni, coperte da letto, scialli. In ogni paese si coltivava il lino e nella parte bassa della valle cresceva la canapa. I fili di lino e di canapa veniva portato per la lavorazione alle tessitrici. Nel Museo sono conservati un telaio del ‘700, perfettamente funzionante oltre a rocche, fusi, aspi, stecche, pettini per cardare la lana, un filarello a pedale, un piccolo telaio per passamanerie, mattarelli per il lino, un arcolaio(guindol). Nell’800 si allevava il baco da seta, e vi erano modeste filande a Presson e a Malè. Nelle case contadine erano sempre presenti gli attrezzi per la filatura cui si dedicavano le donne.
FONTI DI SUSSITENZA
La lavorazione dei campi è ben rappresentata: un vecchio aratro, l’attrezzo per realizzare i denti dei rastrelli, incudine e martello per ridare il filo alla falce, badili, vanghe, zappe, forche, falci e falcetti, portacote (cozàr), attrezzo per tagliare paglia e fieno, gioghi per il bestiame, protesi per le zampe dei vitelli e per raddrizzare le corna alle mucche.
La val di Sole è sempre stata ricca di boschi di larici, abeti e pini, perciò di legna da lavorare e da ardere. In questa sezione sono contenuti gli attrezzi usati per l’abbattimento, il trasporto e la lavorazione del legname. E’ stata ricostruita in miniatura un’antica segheria c.d. veneziana, che utilizza come forza motrice l’acqua derivata da un vicino torrente. Nella lavorazione del legname da costruzione i solandri avevano raggiunto un grado di abilità e raffinatezza tali da richiamare gli artigiani anche all’estero, come in Canada e in Russia per la preparazione delle traversine delle ferrovie di quei paesi, in particolare per la Transiberiana In inverno i tronchi tagliati venivano portati a valle con grosse slitte. Le travi per costruzione venivano squadrate a mano con larghe accette dagli “squadrini”. I “segantini” utilizzavano invece attrezzi manuali nei luoghi privi di segherie. Il Museo conserva un esempio di tetto a “scandole” (la classica copertura dei masi) con l’attrezzo per la loro preparazione, segoni per il taglio del bosco, accette (manare) per squadrare le travi, due tornii a pedale del 600-700, una slitta per il trasporto a valle, un banco da falegname con l’attrezzatura completa.
Lavorazione del latte
Era l’alimento base per la famiglia contadina e fonte principale per l’economia famigliare che ne traeva notevole beneficio con la vendita del latte stesso e dei suoi derivati: burro, formaggio, ricotta (poìna). Come avviene anche oggi le mucche venivano portate, nei mesi estivi, all’alpeggio nelle malghe. Così i contadini rimanevano liberi per i lavori dei campi: il fieno depositato dei masi veniva risparmiato per l’inverno e le bovine potevano nutrirsi di erbe pregiate nei prati di montagna. Tutte le lavorazioni venivano effettuate sul posto. La panna veniva sbattuta nella zangola per ricavare il burro. Il latte rimasto si scaldava in un grande paiolo di rame (pai) dove, aggiunto il caglio, si ottenevano formaggi grassi, semigrassi, magri a seconda della quantità di panna prelevata. Col siero si otteneva la ricotta. Il Museo conserva oggetti tipici di tutte le fasi della lavorazione del latte: una stadera per pesarlo, una zangola per il burro(botèr), forme per i pani di burro, stampi per i formaggio, il quaderno del casàro per la tenuta giornaliera della contabilità della produzione di latte ed una bussola per le elezioni annuali del direttore del caseificio e della malga (giut).
Testo di Federica Costanzi
Molino Ruatti
Museo del mulino ad acqua
La storia
Il Molino Ruatti è un antico mulino per la macinazione dei cereali con macchinari funzionanti ad acqua che si trova all’imbocco della valle, nella frazione di Pracorno. Non si hanno notizie certe sulla data della sua costruzione, ma secondo le ricerche effettuate dovrebbe risalire alla fine del 1700. La mola inferiore della macina porta la data del 1813, mentre l’affresco in facciata, con l’immagine della Madonna di Caravaggio e Santa Caterina d’Alessandria, protettrice dei mugnai, riporta la scritta 1830.
Acquisito dalla Provincia di Trento direttamente dalla famiglia Ruatti negli anni ’80 è stato in seguito restaurato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici. E’ stato aperto al pubblico nell’autunno del 2009. Il 16 luglio 2010 l'amministrazione provinciale ha ceduto gratuitamente il Molino al Comune di Rabbi per garantire una migliore gestione del bene e dare un incentivo allo sviluppo turistico locale. La tipologia del bene culturale lo rende infatti fortemente legato alla comunità locale sia per la sua posizione che per la sua storia. Il Comune di Rabbi ha dato la struttura in gestione all’Associazione Mulino Ruatti che ne garantisce l’apertura, le visite guidate, i laboratori didattici e le iniziative culturali.
Rimane ad oggi l’unica testimonianza di una lunga tradizione, iniziata nel 1200, di opifici lungo il torrente Rabbiés, legati alle colture tradizionali.
Il restauro
Il progetto di ristrutturazione del mulino si è basato sostanzialmente su un recupero integrale dell'edificio, con particolare attenzione all'apparato tecnico e produttivo. Le ruote in legno esterne sono state ricostruite, mentre gli ingranaggi interni sono stati in parte recuperati e in parte ricostruiti poiché troppo degradati. L'intero apparato è ancora in grado di azionare la macina grazie al precedente lavoro di recupero dell'acquedotto, distrutto al tempo da una piena del torrente Rabbiés. Nell’estate 2015 si è provveduto a un ulteriore restauro delle macchine per riavviare il processo di molitura dei cereali per la produzione di farina.
Sono stati recuperati anche il balcone esterno in legno e, all'interno, i vecchi solai, così come l'antica stalla con le mangiatoie, mentre il piccolo maso, che era pertinenza del opificio, è stato adibito ad ufficio di accoglienza dei visitatori.
La visita
L'allestimento propone al visitatore una sorta di luogo della memoria in cui viene presentata una panoramica generale sulla società rurale e sull'economia contadina della Val di Rabbi, dalla particolare ottica dell'attività che nel mulino si svolgeva, attraverso l'esposizione di oggetti quotidiani, riducendo al minimo i supporti mediatici. La visita parte dall’esterno dove sono visibili le ruote ad acqua che mettono in moto i macchinari della Sala di Molitura, collegate a canali che, dal torrente Rabbiés, portano l'acqua fino a all’opificio.
La Sala di Molitura
Il primo ambiente dove il visitatore viene accompagnato è il cuore del mulino, la Sala di Molitura, dove si trovano, ancora funzionanti, la macina in pietra per i cereali, detta a palmenti o vitruviana, una macina a rulli metallici del inizio del ‘900 e il pestino per l’orzo.
Il piano delle stalle
Uscendo dalla Sala di Molitura e entrando nell’abitazione si trovano al piano terra la cort, l’ingresso, con il banco da falegname, la fontana, la caldera, il carro e vari attrezzi agricoli e per la lavorazione del legname. A lato si trovano la stalla per i bovini, con ancora le mangiatoie originali e una scultura in legno raffigurante una tradizionale razza bovina e vari utensili, la stalla per i cavalli e la cantina.
La casa di abitazione
Al primo piano si trova l’abitazione con la sala due camere da letto, la cucina e la stuå.
Salendo dal piano delle stalle si arriva nella grande sala, dove in un angolo è possibile osservare le decorazioni originali della stanza, vi si trovano inoltre il tavolo con le sedie, l'armadio e le casse panche. Da qui si accede al resto dell’abitazione.
In cucina è presente l'antico focolare di tipica fattura trentina, con piastrelle in maiolica. Sotto a una finestra vi è un acquaio. Lungo le pareti sono posti vari pezzi d'arredo dell'epoca, corredati da oggetti d'uso come piatti, bicchieri, suppellettili, pentole e paioli in rame e in ceramica.
Attrattiva della camera padronale è il grande letto posto al centro. La testiera è in legno lucido e intarsiato, mentre nell'angolo della stanza si può osservare un armadio dell'epoca, mentre una culla è posta vicino al letto. Accanto ad essa si trova un tavolo di legno antico con la sedia, decorato da vari intarsi. Per riscaldare la stanza era usata una stufa in maiolica, ancora presente ed esposta nella sala.
Nella camera singola sono presenti pochi elementi, fra cui il letto, un armadio, una sedia in legno lucidato e intarsiato e un catino con supporto, con vari asciugamani e biancheria d’epoca. Il soffitto della stanza era crollato ed è stato restaurato. Di fronte all’entrata si trova una finestra che dà all’esterno.
La stuå è la tradizionale stanza rivestita completamente in legno, dove si trova una grande stufa in pregiata ceramica di colore verde a decorazioni bianche. Era il salotto di casa, con il divano, il tavolo e i tradizionali armadi ricavati nella fodera di legno; vi si trovava anche un letto, dove dormivano gli anziani della famiglia. Tutte le stanze sono arredate con mobilio e biancheria d’epoca. Oltre alla parte musealizzata a questo piano si trovano una postazione multimediale e la stanza dei ricordi, con l’archivio fotografico ed alcuni oggetti.
Il fienile
Posto all'ultimo piano, è molto spazioso e luminoso e raggiungibile sia attraverso una scala in legno dal piano di abitazione, sia direttamente dall’esterno. Vi è stata ricavata un’ampia sala conferenze, che può essere adibita anche a luogo per mostre temporanee.
Parte di questo piano è stato lasciato come era in origine, per dare al visitatore la possibilità di capire la funzione di quest'area, separata da una porta a vetri dalla sala conferenze. Vi si trovano un’antica slitta e un macchinario per il taglio del fieno.
Qui è presente anche la camera del famèi, cioè del garzone, che è completamente in legno, con il letto e le casse per la conservazione dei cereali.
Fucina Marinelli - Località Pondasio di Malè
La Fucina Marinelli è uno dei pochi esempi di fucina idraulica ancora funzionante rimasti intatti nell’arco alpino. Della fucina si hanno notizie scritte a partire dal 1880, quando venne acquistata dalla famiglia Marinelli, ma la sua costruzione risale ad almeno due secoli addietro. Faceva parte, con altre fucine e mulini, del complesso pre-industriale del Pondasio, che sfruttava l’acqua del torrente Rabbies dove l’energia idraulica, ingegnosamente applicata al lavoro della fucina, sostituisce la forza umana o animale. La fucina Marinelli custodisce un patrimonio millenario di conoscenze tecniche ed esperienze umane, ultima depositaria dei segreti degli illustri fabbri reti: incudini, maglio, doppia forgia, mola. All’esterno le strutture per la captazione dell’acqua dal torrente Rabbies.
L’edificio è oggi di proprietà del Comune di Malè.